La cosa più ragionevole è che tu scriva essenzialmente a casa o sul luogo di lavoro, chiuso nel carapace, nella chiocciola, nella conchiglia. Tanto non avrai nessuna intenzione di scrivere del mondo esterno; il tuo argomento, almeno agli inizi, sarà te stesso. Perché in fondo si tratta solo di questo: trovare il tempo per essere solo con te stesso e in quel tempo provare a ragionare su di te.
Il Manualetto pratico a uso dello scrittore ignorante è un delizioso, ironico e mai ridondante piccolo capolavoro di buon senso, che racconta, attraverso l’ipotetica (quanto verosimile) vicenda della difficoltosa stesura di un romanzo e della sua desiderata pubblicazione, lo spinoso rapporto che si crea tra l’ego del creatore, il suo bisogno di creare e la necessità di un riconoscimento di ciò che è stato creato.
Filippo Tuena ha scritto un trattato affettuoso quanto spietato, il cui scopo sembra essere non tanto quello di smontare gli aspiranti scrittori attraverso il resoconto di gaffe e difficoltà, quanto di far capire che un’opera d’arte efficace si dà su un equilibrio fragilissimo nel quale l’onestà viene sempre minacciata dalla vanità.
A lettura conclusa quello che ci si chiede è se davvero si è disposti a mettersi in discussione con quella sincerità e profondità tali da creare un qualcosa che possa valere la pena di essere letto. Cosa si è disposti a dare di sé per creare qualcosa di bello? Siamo pronti a scavare abbastanza per arrivare a quella consapevolezza instabile necessaria per costruire una voce nostra? Vogliamo davvero cimentarci in quell’indagine così accidentata del mondo, e della nostra percezione di esso, necessaria per raccontare qualcosa di vero e originale? Siamo disposti a fallire, a mettere in conto tutti gli sbandamenti e gli ostacoli in cui incapperemo durante il percorso?
Troppo spesso si scrive per sentirsi bravi, o per il desiderio di lasciare al mondo qualcosa di noi, e allora l’opera diventa secondaria rispetto all’autore, un mezzo per esprimere la nostra grandezza, quando in realtà dovrebbe essere il fine, un qualcosa di buono in se stesso.
Ti sembrerà che nonostante molti siano gli autori scadenti e i libri inutili e pochi i grandi autori e i libri necessari, forse varrebbe la pena di fare un altro tentativo, di giocare la sorte ancora una volta perché senti intimamente e profondamente che potresti far parte dei pochi e dei grandi, anzi sei certo di farne parte, indipendentemente dai giudizi degli altri e ancora una volta ti sveglierai un mattino bellissimo con quest’idea fissa, con quest’ossessione dannata che ti danna ma ti costringe a procedere, con questa voglia di opporti alle avversità e che ti fa sentire vivo come mai avevi creduto di poterlo essere.
Tuena ci invita ad attingere alla creatività con amore e rispetto, perché noi, alla fine, nel processo, siamo solo un medium. Forte è il dubbio che scrivere (e creare, a prescindere dal mezzo) non sia tanto un modo per trasmettere qualcosa, quanto piuttosto una modalità di condivisione; e che magari quello che rimane dei grandi classici o di tutti i libri che superano l’esame del tempo non sia la loro bellezza quanto la loro ansia di ricerca, di esplorazione del rapporto di chi scrive con il mondo.
Scrivere equivale anche ad affrontare con lucidità il proprio buio e l’oscurità della vita, e celebrarne le luci, a interrogarsi incessantemente, è una pratica che talvolta si rivela frustrante, sgradevole; bisogna essere pronti a specchiarci con coraggio in ciò che non ci piace di noi stessi. Da qui il sospetto che l’autocelebrazione e l’autocompiacimento, che sempre incombono sullo scrittore ignorante, non siano altro che le forme più subdole della vigliaccheria, il vero nemico della creazione artistica.
Filippo Tuena
Manualetto pratico a uso dello scrittore ignorante
Fidenza, Mattioli 1885, 2010
pp. 109