Il venerdì pomeriggio Luca finisce prima il turno: dal suo ufficio alla metro sono otto minuti di tragitto, undici dalla metro verde a quella rossa, sei dalla rossa all’ufficio di Serena. Il venerdì pomeriggio, in ventiquattro minuti – quasi venticinque – Luca è appostato dal lato di via Meravigli dove si aprono gli ingressi della Camera di Commercio. Serena esce uno o due minuti dopo il suo arrivo. Luca, il venerdì pomeriggio, in ventisette minuti, è dall’altra parte della strada e riprende Serena con il cellulare.
Tutti i filmati iniziano nello stesso modo. Serena incastra i manici della borsa tra l’acromion e la clavicola, scioglie i nodi degli auricolari: si capisce che la musica è iniziata da come si muove. Ci sono giorni buoni di ritmi commerciali, allora Serena scivola tra la gente in una coreografia di passi fluidi, segue un basso o un tamburo contro una coscia; ci sono giorni meno buoni di battute lente – possibili pianoforti e basi strumentali – Serena è sempre elegante quando cammina ma si distrae facilmente; durante l’attesa, alla fermata del due, inclina la testa a sinistra, sosta sotto un lampione giallo che le irriga le rughe intorno alla bocca. Ci sono filmati di giorni buoni e di giorni meno buoni, tutti i giorni Serena fa comunque quel gesto con la mano quando sale sul tram: affonda le dita tra i capelli, dalla fronte fin quasi alla nuca, e li apre in ciocche – i capelli si scompongono ma basta che lei si volti o abbassi la testa e quelli si organizzano subito in una riga centrale. Anche dal filmato si vede che sono morbidi. Serena, di solito, cerca un posto sul fondo; se non trova un posto sta in piedi, appesa a una maniglia; se trova un posto e dopo di lei sale una signora anziana, cede il sedile con un sorriso.
Luca filma senza interruzioni. Deve evitare che qualcuno se ne accorga, così sceglie angoli ciechi, si ingobbisce contro dorsi di lamiera, finestrini gelati. Quando il tram è affollato, Luca continua a riprendere e i filmati riproducono porzioni di corpi altrui, sguardi obliqui, formazioni umane esauste. In cornici di gomiti e fianchi, di Serena si vede solo il profilo – è nitida la riga nera e inferiore dell’occhio, dove il trucco della mattina si è scomposto. Fuori è ancora un mese invernale piuttosto freddo, i passanti camminano rigidi, la superficie del canale si vetrifica. Sono trascorsi ottantasei giorni dalla prima volta che Luca ha filmato Serena.
Serena è così brava a fingere di non sapere che a volte Luca si sente in colpa e sporco – proprio come se fosse vero, come se stesse seguendo e riprendendo una sconosciuta sul tram, un pensiero così sbagliato che lo fa rabbrividire. Continua a riprendere perché, subito dietro al disgusto, proprio quando il tram riempie gli spazi tra le ultime due fermate, gli risale la fame nello stomaco. Serena dice che è il meccanismo della ricompensa, come per gli animali che aspettano la gratificazione dopo aver eseguito un ordine – anzi, Serena dice che sono tutti animali, che tutti eseguono ordini, che tutti aspettano la gratificazione e alla fine nessuno la riceve. Secondo Serena gli animali animali sono più furbi degli animali persone. Serena dice anche: “Lo senti, il desiderio? Funziona solo se sai che lo puoi soddisfare”. Luca lo sente: è un foro nel diaframma, si estende quando lei scende alla sua fermata e lui la segue.
Tra le gambe di Serena, mentre lei cammina, si aprono occhielli d’asfalto, segmenti di rotaia, la pelle scorticata del portone. Lei lascia che il battente inizi a chiudersi alle sue spalle, Luca lo intercetta prima che sia troppo tardi, continua a riprendere nell’androne. Ora la simulazione è più evidente. Serena finge di non sentire i suoi passi per le scale, di non vederlo intrufolarsi in casa sua. Luca sosta nella semioscurità dell’ingresso. Lei fa crollare il cappotto sullo schienale di una sedia, sfila le scarpe, si sposta dalla zona giorno al corridoio. In camera da letto, Serena accende solo l’abat-jour e si spoglia come se non ci fosse nessuno nella stanza, senza alcuna intenzione – i collant si arrotolano goffi lungo i polpacci, la testa le si impiglia nel maglione, la biancheria è spaiata. Per via del meccanismo della ricompensa, il respiro di Luca aumenta di velocità e si riduce d’ampiezza. Serena è nuda, gli si avvicina, non si salutano. Lei gli sfila il cellulare dalle mani, interrompendo il filmato.
Luca e Serena si sono conosciuti al compleanno di un amico comune. Dopo tre mesi, lei ha parlato dei video e Luca ha pensato che, dopotutto, non c’era niente di male ad assecondarla. Serena si era accontentata di girare i primi filmati in casa, solo loro due, mentre si preparava per uscire o si lavava in bagno. Poi erano iniziate le richieste delle riprese per la strada, nel tragitto dal suo appartamento al tram. La durata si è allungata progressivamente. Con i video più lunghi il processo si è semplificato, non c’è bisogno di farli ripartire quando si interrompono e tutto sembra meno macchinoso. Dei primi tentativi, a Luca è rimasto impresso lo sfarfallio delle dita di Serena davanti allo schermo, mentre faceva tornare indietro il video ancora e ancora – e le sue dita si accartocciavano sempre di più, come compresse tra denti invisibili.
Serena posiziona il cellulare contro un cuscino, il cuscino contro la testa del letto, se stessa contro l’inguine di Luca – che si è tolto i vestiti ma solo a metà, i pantaloni giù alle ginocchia, i calzini umidi ancora addosso. Lei fa partire il video, gli si stringe attorno, è subito tutto liquido – il sudore tra le giunture, le superfici di contatto tra loro due, i suoni. Nel letto sembra di affondare, i gomiti di Serena conficcati nel materasso, la sua schiena inarcata, i dorsali che si innestano nella colonna vertebrale e gli archi ossei che spingono sottopelle: Luca vede senza guardare, è concentrato, i particolari ritorneranno in postumi, durante la sosta in bagno. Oltre la testa di Serena e i suoi capelli, il video di lei continua a scorrere, proprio come il resto, come i loro pezzi più importanti.
Serena ha detto che è iniziata con i messaggi vocali, che riascoltarli le dava una bella sensazione, poi con i video delle serate con le sue amiche, sparsi tra Facebook e Instagram. Le piace guardarsi ad alcune condizioni: solo se viene ripresa, solo mentre svolge attività quotidiane. Dice che la eccita perché così sembra che qualcuno la stia osservando, che qualcuno si sia preso il disturbo di studiare i suoi spostamenti, che qualcuno la voglia per sé così intensamente da filmarla. “Mi piaccio. Guarda come metto le mani in tasca. Mi piace il rilievo dei muscoli delle mie gambe sotto alle calze. Vorrei che qualcuno potesse guardarmi come mi guardo io” aveva detto una volta, due dita ancora dentro, sul suo divano. Luca non aveva capito. “Vorrei essere me e incontrarmi” aveva detto “Vorrei essere me e abbracciarmi, consolarmi, scoparmi”. Questo, sì, lo aveva capito.
Luca arriva in fretta, calcola male i tempi e cola un po’ dappertutto. Serena neppure se ne accorge, sotto alle sue ginocchia le gocce scuriscono la stoffa lucida del piumone, ma lei continua senza di lui, allungando una mano. Non si volta quando lui lascia la stanza. A questo punto su Luca cala sempre un po’ di tristezza. Pensa che, nella camera accanto, Serena sta gemendo perché si immagina interagire in due corpi e nessuno è il suo. Serena ha un orgasmo nell’idea della sua replica e lui si ripulisce, poi Serena ne ha un altro, più alto. Lei dice che gli orgasmi migliori iniziano nelle ginocchia, quelli così così pulsano tra mento e gola, quelli brutti non hanno collocazione. Prima dei video, tutti gli orgasmi di Serena erano senza collocazione.
Luca si siede sul gabinetto chiuso e pensa che la cosa più simile a quella che prova Serena l’ha sentita di fronte ad alcune foto di lui bambino – una volta, dopo la morte di suo padre, gli è venuta voglia di incontrare il se stesso di quattro anni. Non c’è nessun piacere di natura sessuale, in questo suo pensiero, solo malinconia. Ogni tanto fantastica di tenersi in braccio, guardarsi incapace di scrivere, annusarsi e capire odori che hanno conosciuto solo i suoi nonni o i suoi genitori. Pensarci lo fa sentire a disagio. Vorrebbe essere come Serena, non vergognarsi.
Serena lo raggiunge in bagno, quando ha finito. Ha le ginocchia e le guance arrossate, fa la pipì nel bidet, per non scomodarlo, poi gli appoggia la testa a una spalla e lo ringrazia. “È che nessuno è capace di guardarmi come mi guardo io, capisci?” gli dice, più tardi, di fronte al cartone vuoto di una pizza. “Anche con te, per esempio: io vorrei fisicamente deviare il tuo sguardo”. Serena avvolge le gambe in un abbraccio, guarda fuori dalla finestra. “Non vorresti provare anche tu?” Luca non lo sa, non ci ha davvero mai pensato. Serena raccoglie il cellulare, inizia a filmarlo. “Ma che cosa dovrei fare?” “Parlami di oggi”. Luca obbedisce. Bevono un po’, dopo, e rimangono al buio. La finestra adesso si apre a una vista scura, fuori non c’è niente di visibile oltre alla fronte ancora accesa di qualche casa – ma le luci dei lampioni sono agili e s’arrampicano. La metà di Serena che parla è arancione e alcolica: “Cosa credi che facciano tutti gli altri? Non c’è nessuna differenza”.
Un mese dopo, di nuovo a casa di Serena, lei sfila il cellulare dalle mani di Luca. Lui si attarda, la cintura gli si incastra. Serena inizia senza il suo aiuto e, quando è il momento, Luca resta ipnotizzato. Serena guarda Serena e ha dimenticato che c’è un altro spettatore nella stanza, così Luca si riveste piano, come per non svegliare qualcuno che dorme, e si allontana. Rimane in soggiorno ad ascoltare e pensa che magari Serena ha ragione, che tutti credono di fare l’amore gli uni con gli altri – se invece non fosse così, se tutti si stessero unendo a se stessi, anche senza il bisogno di guardarsi? Questa idea gli fa venire voglia di prendere un po’ d’aria. Sul tram, pensa al video che gli ha fatto Serena e si stupisce: ricorda alcuni gesti, la smorfia istintiva che sembra fastidio – e invece è vergogna e nessuno potrebbe mai indovinarlo; ci sono altri residui, la mano aperta sulla coscia, la cicatrice bianca nello zigomo e la sua storia. Succede improvvisamente: subito dietro al disgusto, gli risale la fame nello stomaco. Scende alla fermata successiva e riprende il tram in direzione contraria.
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Foto di copertina: Nobuyoshi Araki.