Medusa

Luca Bernardi ha venticinque anni, è nato a Varese, è cresciuto a Bolzano e sa scrivere bene (la qual cosa non è affatto scontata, benché sia pubblicato: attualmente in Italia sono – in base a una mia stima approssimativa, ma non leggerina – circa cento le persone che sanno scrivere bene). È maturo, sviluppato e giovane (a volte appare invece che le sue posture mentali di scrivente siano anziane, finanche antiche) e questa giovinezza nel testo si sente (come potrebbe essere altrimenti?), anzitutto nel senso che avrebbe potuto scriverlo solo un post-tardoadolescente, non un cancelliere di tribunale – o un viceprefetto – letterato cinquantenne. In Medusa c’è un lavoro sul linguaggio forte, che pare prendere l’abbrivio dalla lezione del Tondelli de Il diario del soldato Acci, di Pao Pao e soprattutto di Altri libertini sulla forma della scrittura nelle sue declinazioni eteroclite ingravidate dalle contorsioni verbigenerative le più disparate. Rispetto a Tondelli c’è meno passione, meno Carne e Sangue e meno Mimesis – non è il realismo tondelliano che interessa Bernardi: più distaccato, meno vigoroso, più cerebrale, meno intenso, più nerd, meno pop, più erudito, meno robusto, più raffinato, più scopertamente – sfacciatamente anche – ironico e autoironico e giocondo nel prosare.

Non trovo interessante discettare della scrittura giovanilistica o dei giovani che scrivono, né tantomeno delle contaminazioni del parlato, figuriamoci poi degli sperimentalismi – che detesto. Maggiormente stimolante è invece andare a guardare e orecchiare come gioca con le parole: «Lui sfiorava con le antenne le uova dei miei pensieri rosa e le schiudeva in larve: il giudizio degli scarafaggi è il supplizio del linguaggio, sa?, e virgolette e scarafaggi, punti e scarafaggi, parentesi e scarafaggi scavicchierano le budella di chi li sterminò per pigrizia. […] Tutte le parole che avrete mai detto, diceva, sono procedure del nulla. […] Gli dei sono insetti, diceva, hai mai schiacciato un insetto? Uno crede di uccidere, diceva, e invece uccide se stesso.» (pagg. 15-16). La liquefazione mentale, lessicale e sintattica è l’orpellosa e fantasmagorica ludoteca di Luca Bernardi; non per niente il protagonista del suo romanzo scrive «un dizionario, uno di quei parallelepipedi di alberi cotti in cui i dervisci degli steccati, gli inzaccheratori di nubi, le tenutarie di bordello della fonazione credono di inchiavardare il tutto» (ibidem). Si diverte così tanto a giocare che capita anche abusi del linguaggio; questi sporadici eccessi a volte sono infantili e non riusciti («le prendi da dietro in uno specchio e le guardi guardarsi guardarti che guardi guardandoti guardato e poi non guardi più ma cadi mozzato, seme in cornice, culla attonita dei Senzavolto» – pag. 14), altre invece molto meno puerili: ben cesellati e ricercatiNoi chi? Le amichette culi dislessici? I compagnucci analfabeti? […] Noi tigri eucarioti? Noi eumetazoi, noi bilateri, noi deuterostomi, noi sensi scordati, noi vertebrati, noi gnatostomi, noi tetrapodi, noi uova impazzite di scienziati celesti? Noi teurii, noi euterii, noi euarchontoglires, noi fiori incancreniti nel liquido amniotico, noi euarchonta, noi primati noi aplorrini, noi simiiformes, noi catarrini, noi ominoidi? Noi hominina, noi homo, noi homo sapiens? Noi gesticolanti in parchi pubblici davanti a postere folle?»).

Il libro parla di un ragazzo alle prese con le sue ossessioni e turbe mentali, di commercio con gli alieni, di arrapamento, di «culi parlanti» («Vedendomi immerso nella puericultura, i proprietari della piccola riveriscono il filantropo. Mantengono un contegno lustro: da filantropo a pedofilo il passo è breve. Purtroppo a me piacciono i culi parlanti e non le bambine») di una bimba sfracellata e di un bimbo annegato; ma per questa roba di plot e pseudospoiler ci sono le quarte di copertina apposta.

Luca Bernardi sa scrivere, è ingegnoso, fantasioso, perturbante e colto: consiglio di leggerlo.

Luca Bernardi
Medusa 
(2016)
Latina, Tunué, 2016
pp. 134