Mi scuso : per avervi dimezzate, sotterrate, dimenticate. Eppure un tempo, se ben ricordo, pasteggiavamo insieme, ogni giorno (ogni segno) – ecco, non vi ho dimenticate allora, avanguardie, ma come rimosse. L’ultimo testo che vi ho dedicato, care mie, è questo.
Da allora (più di dieci anni fa la data di produzione, a vero dire), una campagna – un bombardamento – incessante contro di voi come il segno più degenerante di un equivoco, un’inversione, una malattia. Il fatto, avanguardie, è che io volevo diventare classico. E lo sono divenuto, per questo ora mi scuso con voi.
Mi accorgo, di fatto, di usarvi di continuo (nell’umorismo nero, nella strafottenza, nell’invenzione pura), di avervi digerito. Di più: di avervi tolto quel cappello dogmatico, quell’insistenza tutta moderna (tutta teistica, tutta progressista) a volere qualcosa oltre il segno. Ho fatto di voi un mezzo, un metodo. Per cosa, direte. Per questo.
Vi lascio allora un ulteriore pezzo d’avanguardia. Immaginate la foto d’una schiena puntellata di punture di zanzara, tutte infettate e rosse. 13 bubboni sulla schiena, mappatura d’una guerra civile estiva. Il titolo* di questa foto (immaginata, #ghostavantgarde) dice: “Egitto, dramma: 13 Morsi”.
* Il titolo d’un opera visiva, dai primi saloni pubblici di fine settecento, prima dei quali l’opera non aveva titolo (quantomeno non ne aveva uno assegnato dall’autore) e durante i quali fu introdotta la pratica del titolo per una mera questione di differenziazione di un’opera dall’altra (nel bordel dell’esposizione pubblica, coi quadri disposti uno a fianco all’altro, coi muri fitti di quadri), il titolo è il motore stesso dello scarto che ha prodotto l’avanguardia.