More uxorio  di Francesca Fiorletta 

Una giovane donna prossima a un evento che è esistenziale ma soprattutto logistico, armata più di sapienza non pratica che di saggezza utile, sola e sempre in dialogo, ecco Nadja in More uxorio.
Nadja sta per sposarsi e non ci sono colori pastello nel romanzo di Fiorletta, nessuna compiacenza a favore di lettori e lettrici pigri. La trama è semplice, gli eventi chiari e riconoscibili, ma è evidente fin dall’inizio che personaggi e svolgimento non sono monodimensionali. C’è invece un esercizio di disciplina nella scrittura ormai davvero raro da trovare.

L’autrice ci avvisa subito, ancora prima di calarsi nella storia. La direzione è nelle citazioni iniziali: c’è una donna ma non è una musa come la famosa eroina di Breton, c’è un dialogo ed è convulso come la bellezza.
Nadja sta per sposarsi e in questo avvicinamento a un nuovo status — uno che disallineato con la cerimonia è già more uxorio o così si vorrebbe — si alternano stati d’animo e azioni necessarie quanto semplici. I dialoghi con le amiche, con il futuro marito, i mobili da pensare e comprare, un bacio confessato che non scatena apocalissi, il tempo e i numeri al bancomat.

More uxorio ha qualcosa oltre l’omaggio a Breton, Nadja si muove negli ambienti di una casa e di una città che sono oggi e non Parigi. La Nadja di Fiorletta non è oggetto passivo di sublimazione o speculazione come quella del poeta surrealista, la futura moglie è regina qui.
È sfuggente a tratti perché cambia e muta. Nella sua odissea casalinga, incerta su quello che l’aspetta nella nuova casa, Nadja Occhi Viola merita e raccoglie epiteti. È di giada, ha un nome esotico ed è fornita di un repertorio lessicale ricercato ma mai superfluo. Non c’è sfoggio ma ancora una certa ricchezza di suggestioni ora, in questi tempi in cui l’esotismo non ha dimora. Ancora epiteti per una mutevole Nadja sempre intenta in attività comuni e osservata da uomini comunissimi: cambia d’aspetto, luce, non la si osserva mai uguale. L’autrice ci mostra come l’osservazione sia insufficiente a svelare il profondo. Sembra banale ma troppo spesso si dimentica che una donna è personaggio completo “tanto di luci e ombre, fra i ripostigli e le tappezzerie.”

Filtrata dai ricordi e dalle aspettative degli altri — Nadja trasgressione e amica d’infanzia —, questa protagonista normale, che si muove in associazioni e metafore semplici, si trova davvero in uno strano romanzo. More uxorio è uno dei pochissimi che supera senza forzature il Bechdel Test, fatto anche statistico che non è poco per un’opera italiana contemporanea. Un romanzo che rischia e che forse paga per questo ma non importa. Nessun bisogno di fare esegesi per il semplice lettore, More Uxorio è un romanzo diverso, scritto in forti tratti di prosa poetica, una prosa che scorre veloce e soprattutto bene, ricca di rimandi e suggestioni.

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Francesca Fiorletta, More uxorio, Genova, Zona, 2015, p. 106