Mi imbattei in un viandante d’una landa remota
Il quale disse: “Due enormi gambe di pietra mozze
Si trovano nel deserto… Nei loro pressi, sulla sabbia,
Una franta effigie sta mezzo affogata, il cui cipiglio
E l’increspato labbro, e il sogghigno di fredda maestà
Avvertono che il loro artefice ben conosceva quelle passioni
Che ancora resistono, impresse su codeste pietre senza nervo,
Alla mano che le abbozzava, e al cuore che le fomentava;
E sul piedistallo si possono leggere queste parole:
‘IL MIO NOME È OZYMANDIAS, RE DEI RE:
MIRATE LE MIE OPERE, VOI POTENTI, E DISPERATE!’
Null’altro rimane. Attorno al disfacimento
Di quella rovina colossale, nude e sconfinate
Le piane e solitarie sabbie si estendono lontano.”
***
Ozymandias (Percy B. Shelley, 1818)
I met a traveller from an antique land,
Who said – “Two vast and trunkless legs of stone
Stand in the desert… Near them, on the sand,
Half sunk a shattered visage lies, whose frown,
And wrinkled lip, and sneer of cold command,
Tell that its sculptor well those passions read
Which yet survive, stamped on these lifeless things,
The hand that mocked them, and the heart that fed;
And on the pedestal, these words appear:
‘My name is Ozymandias, King of Kings
Look on my Works, ye Mighty, and despair!’
Nothing beside remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare
The lone and level sands stretch far away.”