Poi dicono che qua a Crapula siamo astrusi, sempre astratti, ogni tanto fecali, mai popolari. E invece col cazzo. Pane e circo è tutto quello che siamo.
Breve analisi tattica pre-mondiale
Dato che questa vuole essere un’analisi breve, soprattutto per venire incontro alle mie capacità di concentrazione e alla mia indomita voglia di fare, vorrei, assegnandomi un contesto, partire da una conferenza stampa pre-mondiale di Cesare Prandelli, e sviluppare, limitatamente ad alcune sue dichiarazioni, una serie di considerazioni che mi si erano imbozzolate nella testa senza che io lo sapessi. In questo senso, le mie considerazioni non faranno che da cassa da risonanza, da filtro fotografico, da messa a fuoco, se vogliamo, giacché pare siano ormai tutti fotografi, alle dichiarazioni che mi accingo a commentare. Il fatto che io abbia, leggendo Prandelli, pensato e ritrovato, riconosciuto come mio, quello che egli andava dicendo, forse è buona prova di quanto il pallone possa essere studiato come scienza oggettiva; questo, certo, a fronte del fatto che poi vi sia un indice di imperscrutabilità rispetto all’esattezza dell’esecuzione dei movimenti e della tattica, nonché della psicologia di quei vulnerabili e precoci milionari che lo giocano ad alti livelli, quasi come a voler confermare le vecchie teorie platoniche del Timeo: noi abbiamo una scienza matematica della natura, ma essa può dire il reale sensibile soltanto sotto forma di immagine, e perciò verosimilmente. In questo senso, il trattamento epistemico della sfera calcistica è anch’esso riducibile al rango dell’eikos logos.
L’intervista è questa. Procedo con ordine, provando a sistematizzare, non rinunciando a problematizzare. Mi soffermerei sui punti seguenti:
1) Sorvolerei per il momento sui gol provenienti da errori individuali, anche perché non la metterei così. I momenti salienti del primo punto sono due:
a) la squadra sbaglia quando commette «errori di concetto», in particolare quando non allarga la manovra e dovrebbe invece farlo, e
b) «abbiamo forzato troppo qualche uscita con la palla dalla difesa».
I due problemi sono connessi, evidentemente. La lettera (a) merita un commento abbastanza diffuso, per un motivo cruciale: esprime la conseguenza essenziale dell’impostazione prandelliana in genere, quella cioè che Prandelli ha avuto da quando ha ereditato il disastro del mondiale africano. Lippi non ebbe il coraggio di rinnovare un gruppo che aveva fatto il suo tempo, e gli infortuni di Buffon e Pirlo, gli unici due fuoriclasse della squadra assieme a De Rossi, fecero il resto.
Prandelli ha invece avuto, lo dico subito, anzitutto il merito di fallire anche laddove aveva mancato il grande Sacchi: pensare di allenare una nazionale impostando un concetto di gioco universale, al quale commisurarsi come demiurgo che plasma il «divino cosmo vivente» a modello di tale paradigma, e riuscirci. Questo della nazionale, deve essere ancora un tarlo che rode e consuma i sogni di Sacchi, se, dopo vent’anni, ha ancora bisogno di ricordare come a Usa ’94, quella squadra che arrivò in finale, si muovesse anzitutto a partire dal gioco e poi pensando ai singoli; come a dire che un trauma si rimuove anche e semplicemente negando l’evidenza di un sistema a un certo punto giocato per un giocatore incredibile, cosa rispetto a cui niente c’è di male, se questo giocatore si chiama Roberto Baggio, ed è nel momento più abbacinante della sua carriera.
Ad ogni modo, rispetto a Sacchi, la mossa prandelliana è stata più saggia, poiché ha tutto sommato coniugato la sua idea di calcio col talento della rosa a disposizione, mentre Sacchi provò a trasbordare il sistema Milan in nazionale, senza però avere i tre Olandesi, con Baggio al posto di Van Basten, Dino Baggio vice-Rijkaard, e un vuoto al posto di Gullit – in America giocò prevalentemente Signori ala sinistra, per dire, uno che aveva fatto quarantanove gol nei due anni di serie A precedenti da punta (sic!), ma era ritenuto un doppione di R. Baggio, cui veniva affiancato un attaccante con caratteristiche diverse, spesso Massaro) –, col risultato che la percorrenza di quei mondiali della fascia fu alquanto suggestiva (difatti una delle cose migliori di Signori, in quel Mondiale, arriva da un movimento centrale).
In effetti, con una selezione nazionale, non si può intervenire sul mercato, ed è difficile, se non si scende a compromessi con l’intreccio generazionale che una determinata scuola ti offre, operare in linea squisitamente teorica, solamente ideale. Occorre sempre scendere a patti con la chora. D’altronde, noi non abbiamo nemmeno mai progettato eugeneticamente una generazione del centrocampo totale come hanno fatto gli spagnoli, che poi ne hanno raccolto i frutti: questi si erano mesi in testa che il rettangolo di gioco dovesse trasformarsi in un centrocampo indifferenziato, talché si trova tale Reina che fa assist di una precisione mortale con gittata di settanta metri dalla propria porta. Dicevamo, però: Prandelli impone un’idea di gioco, coniugandola alla densità di talento medio del movimento calcistico che deve gestire. Per la prima volta, tale massa non è preponderantemente concentrata in difesa, bensì a centrocampo: ed ecco che si afferma l’idea del rombo (salvo gli ammiccamenti singoli al 3-5-2, dovuti da un lato a certi adattamenti all’avversario, e dall’altro dalla predisposizione del blocco bianconero a giocare con questo sistema).
L’idea quindi è la valorizzazione del reparto centrale del campo e dei suoi innumerevoli palleggiatori, anche se ciò non è disceso da un progetto a tutti gli effetti consapevole, cioè a qualcosa che avesse trovato il suo inizio in una politica dei vivai ecc.: facciamo una sorta di tiki taka, impostando Pirlo come fuoco della manovra, e lasciando che ai suoi fianchi agiscano due interni abbastanza dinamici e comunque bravi un po’ in tutto, anche se in effetti De Rossi è adattato, ed in tal senso risulterà una delle stelle del centrocampo che ancora risente della centralità di Pirlo (ho cercato qualche statistica illuminante in tal senso, tipo di quelle cose fighe whoscored che mi darebbero davvero un tono, una di quelle cose di cui potrei vantarmi con un mio amico abbastanza malato al riguardo, ma con sorpresa ho notato che i numeri fra Roma e nazionale non sono tanto differenti, soprattutto relativamente a passaggi effettuati e percentuale di realizzazione degli stessi, il che mi ha fatto pensare che sia questo uno dei casi in cui la lettura dei numeri non può essere confortante, dacché il calcio è una scienza non prettamente matematica, non esclusivamente; ad ogni modo, ricordo vivamente come una delle migliori partite di capitan futuro fosse quella di debutto ad Euro 2012, dove da centrale difensivo, prima dell’inserimento di Torres, poté lasciare Fabregas al suo specchiarsi, e dividersi in modo molto redditizio la costruzione con Pirlo, che sostituiva letteralmente quando questi veniva pressato molto alto, dal momento che entrambi agivano e avevano competenze simili, ma da esercitare in due momenti differenti della manovra; qui l’espressione migliore di quella sistemazione). Intorno a questa struttura triadica, verrà mosso un falso trequartista, perlopiù sarà Montolivo, che non è un giocatore prettamente offensivo e di inserimento, ma anzitutto pressatore e volante in grado di determinare la superiorità in diverse fasi del possesso palla e in diverse zone del campo – il succo è che non è il trequartista accentratore alla Zidane, e vorrei ben vedere.
Il problema essenziale diventa a questo punto quello dello sviluppo della manovra offensiva, oltreché in fase difensiva va necessariamente pensato un modo per attutire la spinta avversaria sulle fasce, che, si sa da tempo, essere il vero problema del centrocampo a rombo: spesso i terzini, in caso di perdita del possesso e ripartenze veloci degli avversari, rischiano infatti di esporsi inesorabilmente sulle fasce (Chiellini è stirato, qui, sull’estrema sinistra, ma il veloce Fabregas… ); se il secondo problema è il rischio che il modulo deve accettare, e al massimo compensare con gli scivolamenti laterali di uno degli interni e del falso trequartista, la risoluzione del problema offensivo deve trasformarsi in uno dei punti di forza della squadra, altrimenti il concetto di possesso rischia di rimanere sterile. In generale, tutti i centrocampisti azzurri sono in grado di gestire palla e di verticalizzare quando necessario: Pirlo in particolare ha, manco a dirlo, una visione periferica che non ha semplicemente senso per quanto è magnifica, e a mio modo di vedere è superiore di gran lunga a quella di Xavi, soprattutto perché in grado di esprimersi a ritmi partita e sullo sfondo di diversi stili di gioco anche molto diversi fra loro. Ad ogni modo, diventa essenziale, con uno spartito che riversa la sua enfasi soprattutto in mezzo al campo, la fornitura di linee di passaggio offensive che non sia stagnante, e che tenda a dilatare le difese avversarie. Generalmente, la prima Italia prandelliana lo farà in lunghezza: siccome non abbiamo punte in grado di partire larghe e saltare l’uomo, o se ne abbiamo in sostanza una che però lo fa non con la velocità necessaria e in modo fondamentalmente anarchico (vd. Cassano, anche se qui quella Einbildungskraft ha condotto a questo), il vero movimento di rottura della geometria della difesa avversaria deve essere indotto dalla profondità della prima punta, motivo per il quale credo, ancora, Prandelli stia cercando di convincere Balotelli a starsene in area, a ridosso dei sedici metri, e a non andare a cacare il cazzo ai tanti palleggiatori che ci sono dietro di lui.
Questo per dire che la questione dell’allargamento del gioco in orizzontale è stato sempre uno dei difetti strutturali dell’idea di Prandelli, e quelle dichiarazioni ci dicono che Prandelli lo sa benissimo: in un’un amichevole primaverile, a tal fine, ha schierato una coppia di punte molto peculiare, copiando la sistemazione di quest’anno del Torino di Ventura, e facendo partire Cerci larghissimo a destra, da ala, con Osvaldo alla Immobile, e lasciando la fascia sinistra agli inserimenti del terzino, perlopiù, ma non disdegnando talvolta il movimento largo del centrocampista (vedi qui e qui). Mi pare inoltre che, ancora, pure la convocazione di Insigne possa rispondere a un tentativo del genere, al di là del fatto che il napoletano è uno dei pochi che può garantire a Prandelli la possibilità di giocare con un 4-3-3 puro che abbia almeno un cambio (tre per due esterni: Cerci, Candreva, Insigne). In ogni caso, e in conclusione provvisoria, il fatto che Prandelli si sia lagnato di questa mancanza di lettura dei suoi, è segno che il movimento e la coscienza di esso non sono ancora stati acquisiti, e bisognerà che lo facciano quanto prima, anche perché l’idea di far giocare Verratti, oltre a Pirlo e De Rossi, rischia di diventare un’arma a doppio taglio, che se da un lato può blindare definitivamente il possesso azzurro, dall’altro rischia pure di immobilizzarlo (al riguardo, Manusia nota come Prandelli abbia provato a diluire la densità di registi disponendoli su diversi strati del centrocampo, e parla addirittura di un “modulo a Y”: De Rossi davanti alla difesa, Pirlo poco più avanti, e Verratti interno assieme a Marchisio; scelta indiscutibile, sulla carta, poiché peraltro corregge uno dei pochi difetti del primo rombo prandelliano, la collocazione di De Rossi, mette Verratti, quello più giovane e agile e propenso al dribbling in corsa, anche se rischia di togliere qualcosa a Pirlo, ma evidentemente l’allenatore ritiene che sia il costo minore, ormai, rispetto alle altre versioni della sua idea (vd. ancora qui).
In tal senso, e per questa necessità, non escludo la sorpresa di vedere Cerci titolare e non Candreva, che pure però sarebbe in grado di assolvere alla funzione che avrebbe Cerci (dipenderà molto dai movimenti che vorrà Prandelli, se prevalentemente accentramenti e rientri, di modo da assecondare la ricerca della larghezza delle difese avversarie, o inserimenti verticali per tenere bassa la linea difensiva in generale, e in questo caso sarebbe privilegiata ancora una volta la costrizione alla lunghezza, anche se essa di per sé non si distoglie dalla larghezza, giacché con un esterno largo posso accontentare entrambe le necessità; comunque, Cerci nella prima fattispecie, preferibile, chiaramente, Candreva più adatto nella seconda: si tratta di capire se bisognerà partire dalla larghezza, o se ad essa si vorrà in qualche modo arrivare in modo accessorio attraverso lo sviluppo della profondità).
Per quanto riguarda invece la lettera (b), evidentemente essa può essere spiegata con l’esperimento di Verratti: talvolta Verratti ha aggirato le indicazioni del tecnico, ed è effettivamente venuto a prendere palla troppo basso (vd. di nuovo Manusia), schiacciandosi su De Rossi, limitandone l’utilità nell’esecuzione della salida lavolpiana. Bisognerà dunque equilibrare il consolidamento del possesso con la scelta del tempo giusto dell’allargamento, per ricreare un anamorfismo in grado di generare diverse espressioni vitali di un concetto unico di gioco, in grado cioè di far funzionare questa idea del possesso anche con squadre che per esempio difendono con due linee da otto strette (vd. Inghilterra-Italia Euro 2012: l’Italia gioca bene, ma l’autobus davanti alla porta, se non riesci a far smagliare le sue linee facendo scendere qualcuno dall’abitacolo, non lo sposti; vd. l’utilizzo delle ali guardalinee nel Barça guardioliano).
2) Veniamo agli errori individuali difensivi. Siamo abituati, da generazioni, ad avere una classe di difensori semplicemente mostruosa, e, per esempio nel 2002, Mondiale piuttosto atipico, siamo riusciti ad uscire agli ottavi con una densità di talento difensivo che credo sia e resterà semplicemente irripetibile (persino quella del 2006 era a mio avviso leggermente inferiore, almeno sulla carta, s’intende): Cannavaro, Nesta, Maldini, ritengo sia quanto di meglio mai si sia visto, e di quanto si vedrà, su un campo da calcio, a protezione di una porta. Quella squadra aveva un talento devastante anche in attacco, ma purtroppo aveva un centrocampo di giocatori troppo poco adatti a gestire le fasi di possesso, e con l’aiuto di Moreno non fu in fondo difficile fare fuori quella compagine. Ora, però, con questa squadra inusitatamente votata al possesso e alla costruzione del gioco, si ritrova al contempo un indice di talento difensivo non elevatissimo: soprattutto i terzini sono inadeguati rispetto al livello generalmente espresso dalla storia italiana (basti pensare alla prepotenza e alla dominanza di Zambrotta ancora nel 2006). In effetti, la prima difesa, in ottica puramente guardiolana, la prima forma di difesa, sarebbe proprio il possesso; il concetto è semplice: se la palla ce l’abbiamo noi, voi non potete correre verso la nostra porta. Il che funziona fin quando il possesso è applicato bene, e fin quando la transizione offensiva e soprattutto la salida sono efficienti e senza sbavature. Se questo non dovesse accadere, va detto che abbiamo un solo difensore all’altezza del passato: Giorgio Chiellini. Il quale però, manco a dirlo, fra Baresi (ecco, c’avevamo pure Baresi: orgasmi multipli di Bruno Pizzul durante il mondiale italiano per la maestosità del Franco), Costacurta, Maldini, Cannavaro, Nesta ecc. chissà dove sarebbe finito.
3) Prandelli dice che Balotelli e Immobile non potranno giocare insieme, e per me ha ragione. Sono due prime punte con caratteristiche diverse, ma che rendono al meglio in quella posizione. Per la verità non ho ancora capito se Balotelli abbia voglia di impegnarsi a fare questa cosa, ma è evidente cha Mancini abbia ragione: ha fisico, corsa, calcio, forse pure colpo di testa, se ci si mette, quindi è una prima punta. Immobile è un attaccante ossimorico e contraddittorio, nel senso che è una specie di particella impazzita quando si apre la lente della partita: comincia a correre per tutto il fronte dell’attacco, ma quella sua peculiare mobilità deve essere messa al servizio del ruolo di prima punta, altrimenti perderebbe la sua efficacia sotto porta, che spesso si tramuta, va notato, anche nella lucidità di lasciare il gol al compagno. Balotelli è più anarchico, ma forse tecnicamente, in senso assoluto, più forte. Eppure, nel calcio, appunto, conterebbe il sistema che valorizza il singolo, a parte quelle poche eccezioni tipo Maradona, Baggio, Ronaldo Luiz Nazario, Zidane, cose così: nemmeno Messi ha ancora dimostrato di essere così decisivo come i succitati. Spero Balotelli si senta almeno inferiore a Cristiano Ronaldo. Prandelli aggiunge poco dopo che, tuttavia, una remota possibilità di farli coesistere ci sarebbe, ma con un centrocampo a quattro: immagino che intenda un centrocampo disposto in linea con la doppia punta centrale, anche se non si capisce bene dal contesto, perché poi dice che ci si esporrebbe al classico rischio denunciato in occasione dell’analisi del rombo, quindi dovrei contraddirmi e pensare che stiamo parlando sempre di quella disposizione tattica: difatti il ct dice che in questo caso il flusso di gioco rischierebbe di incolonnarsi in modo eccessivo per vie centrali.
4) Prandelli dice che si adatterà molto agli avversari, e la rosa che ha convocato, come paventato, ne è un buon segno. Sicuramente ha in faretra la freccia del 4-3-3 in caso di squadre chiuse, contro cui quindi, almeno a partita in corso, si potrà ipotizzare il doppio esterno largo con la punta centrale: in quel caso il sacrificato sarebbe De Rossi, che andrebbe a fare l’interno, con Marchisio, accanto a Pirlo, molto verosimilmente. Credo che Prandelli userà il 4-3-3 molto più del 3-5-2, questa volta, poiché ora non ha più Giaccherini a garantire la giusta vocazione offensiva a sinistra (mentre Maggio potrebbe essere sostituito abbastanza adeguatamente da Abate: voglio dire, entrambi…).
5) Sembra che fisicamente l’indirizzo di Prandelli sia stato chiaro: non si rischiano giocatori che hanno fatto tre partite in pochi mesi, né vegliardi cannonieri, e si punta tutto sulla resistenza di un corpo ben temprato e nel fiore della sua vigoria atletica, e sulla sua capacità di rigenerarsi e resistere al clima brasiliano, alle sue intemperanze. Anche la preparazione, stando a quanto dice il ct, è stata tarata su questo obiettivo: due anni fa, con sei partite in poco meno di un mese, l’Italia arrivò bollita in finale, contro una Spagna che invece fu in grado di gestirsi meglio fisicamente, e soprattutto per questo vinse, al di là del catenaccio su Pirlo (devo aver letto da qualche parte l’espressione «tiquinaccio», dopo aver sentito in semifinale il telecronista tedesco di Italia-Germania affermare: «Der Catenaccio ist vorbei, Italien spielt fußball», ossia: il catenaccio è finito, l’Italia gioca a calcio), schermato da una linea orizzontale Xavi-Iniesta-Silva che in sostanza gli impedì ogni passaggio verticale.
In generale, si può dire che se l’Italia riuscirà a vidimare questa sua idea paradigmatica di gioco, coniugandola col giusto lavoro di correzione dei difetti del rombo, allora potrà arrivare lontano, o quantomeno mettere in difficoltà anche le candidate più accreditate alla vittoria finale. D’altronde, un centrocampo più forte ce l’ha solo la Spagna. In ogni caso, molto dipenderà anche dal supporting-cast di questo formidabile reparto mediano, ed in particolare dalla prestazione degli interpreti offensivi, in primis quel Mario Balotelli che rischia ancora una volta di essere a un tempo croce e delizia dei suoi tifosi (croce; e delizia, anche se il primo gol, rivedendolo, pare anzitutto causato da un errore individuale del marcatore, che non si muove e si fa staccare praticamente da fermo, mentre sul secondo la linea difensiva si muove male nel complesso, e Montolivo e bravo a dare la palla coi tempi giusti, ma Balotelli tira giù la porta come se la partita dovesse finire lì): gli basterebbe comunque confermare le esibizioni del 2012, per garantire ai suoi una prestazione generale al di là della sufficienza. Dettaglio non trascurabile: la stagione per Balotelli non è stata fisicamente logorante come per stelle di altre squadre, che hanno dovuto fare Champions, arrivare in fondo alle coppe ecc.; questo significa avere uno dei giocatori più rappresentativi relativamente fresco per sopportare una competizione logorante come il Mondiale. Infine, a pensarci bene, il Balotelli che rincorre gli avversari sul 3 a 0 in quella finale, cosa che non gli ho più visto fare né mai forse gli avevo visto fare prima, costituì l’unica nota positiva di quella fresca sera di luglio passata, per dirla col baffo universale, nella «palude d’Europa», in mezzo agli abitanti della palude succitata irritati dal luppolo, ancora intontito da un paio di nottate senza sonno. It’s always on you, Mario.