La Macinatrice, Massimiliano Parente. Edizioni Pequod.
Copertina interessante. Sfoglio il libro. La citazione: Leopardi, Zibaldone. (Le citazioni sono una vera ossessione per lo scrittore. Cerca sempre quella che condensi, che sia circolare all’opera. Per non dire delle dediche!)
In sintesi. Così inizia. Qualcuno è già nato ed è stato spiaccicato da poco sotto un tacco a spillo. L’ossessione, il ricordo, l’ultimo atto per giungere al segno: una fotografia di un piede. Così finisce.
Che cos’è la Macinatrice? Tutto ciò che si pone tra questi due estremi identici, e che ne è centro di attrazione. Il resto è letteratura della realtà, strumento per comprendere, dissacrare, eliminare significati superflui. Il resto, mai come prima, è ciò che mi interessa.
Perché Duchamp? Non c’è tempo per riflettere, anche perché da subito l’evidenza della scelta e del risultato che Parente vuole ottenere sembrano palesi, ma non si ha tempo, ripeto, per avere le idee chiare.. Tutto accade in un ambiente morbosamente chiuso, dove l’asfissia s’acuisce per l’inconsapevolezza del proprio ruolo. Si finge per fingere, perché è l’arte più raffinata, perché fingere è la fonte di ogni espressione, che bisogna abbattere, per fingere veramente. Il resto: riflesso, riflusso, orgasmo sono sempre qualcosa di posticcio. Come il pensiero. Eppure nello scarto semantico tra la penetrazione e l’eiaculazione, tra l’atto e la formulazione istintiva, intuitiva del pensiero sta la costrizione psicologica cui è stato legato Andrea da Elena – e vuoi non provare un misto di pietà e schifo? Vuoi davvero o ne sei portato contronatura?
Il tempo è uno spazio, dove i giorni si susseguono tutti uguali a sé stessi. Ogni atto o parola è frammentato, ciò fa sì che una notizia suggerita da uno sballo lisergico di Palmira o estrapolata da un brainstoming alla Torrenuova Spa o urlata a squarciagola da Giandomenico Torrenuova (“Oliate la macinatrice!” ordina perentorio Giandomenico la Mole dal suo scranno appositamente modellato per la Cosa) risulti essere contemporaneamente necessaria e pleonastica. Bisogna estrapolare dalla realtà la metafora della realtà stessa, e fare della seconda, che è interpretazione di un fatto non il fatto, lo specchio della prima? Questo spiegherebbe l’apoteosi di Duchamp, la sua Macinatrice, l’opera ultima che si carica di allegorie. E non è strano che l’Ultimo Artista, colui che ha accecato l’arte, l’espressione – aprendo alla repressione? – abbia poi compiuto un mistero? Duchamp ha consegnato all’umanità l’ultimo segreto, cioè che non esistono segreti?
Le questioni sollevate si moltiplicano di pagina in pagina, ma non c’è un punto di fuga prospettico che le assommi, l’occhio oramai disabituato dall’avanguardia a guardare davanti a sé, non vede. Eppure quella fotografia, cui ogni atto, ogni pensiero finalisticamente si rivolgono, sta lì come la chiave di volta del mistero. Eppure il mistero non esiste. Allora: che cos’è quest’altra macinatrice? È una metafora sotterranea della realtà o è il luogo dove la realtà si compie? E di che cosa è fatta questa realtà? Di pornografia, perversioni, feticismo? O questi sono aspetti nominalistici sempre presenti, dietro i quali si nasconde l’evidenza del nichilismo, dell’annientamento di ogni senso?
Che cos’è la macinatrice? Il vetro, ci si accorge, si assottiglia, si rischia di romperlo. Ci vuole cura, attenzione, premura. È necessario che celi, prima ancora di disvelare. Che cos’è la macinatrice? Un’ossessione continua. La ricerca di una risposta nel mondo subliminale della rete. L’ossessione diviene infinita, senza via di scampo; si cerca, è vero, ma che significa ricerca nell’infinito costruito, fittizio, immaginario? Che cos’è la macinatrice? Un pezzo da collezione. Una foto che significhi tutto, seppure per uno solo. Che cos’è la macinatrice? Un opera letteraria disperante. Si preannuncia il distacco che avverrà in “Contronatura” tra l’uomo fatto solo ed esclusivamente di carne (ma tormentato dalla capacità razionale di afferrare la realtà e di non poterla soggiogare) e il resto delle persone, fantocci più che esseri viventi. Si decidono canoni che si amplieranno e struttureranno in “Contronatura”, si pensi allo sforzo di Marco Monti di reinventarsi il cristianesimo dalle fondamenta – cioè dall’Inferno – e si paragoni questo atteggiamento alle parole di Naike Porcella, a tutto quanto quella donna mastodontica (dote fisica che ricorre anche in G. Torrenuova, la Mole) riesca a produrre di nocivo e di apocalittico.
Un’ultima domanda: che fine ha fatto Andy Warhol?
bel testo, Alonso. Secondo te quanto deve La macinatrice ai Canti del caos? In che relazione vedi i due libri?Sfogliavo le pagine (elettroniche) di Moresco e mi chiedevo…(ps ho saputo che Parente ha problemi con le parole di origine greca)
Al, penso che le relazioni – a volte prestiti letterari, alcuni in altri settori direbbero plagi – non sono evidenti, ne ricordo uno in particolare una donna in Canti del caos con la vagina orizzontale e la stessa vagina si trova, citata, manipolata nella Macinatrice, ma al di là di qualche riferimento del genere non penso che possano esserci ulteriori concordanze. La scrittura di parente è violenta e disperata, a tratti statica quasi subisse delle involuzioni, mentre la scrittura del Moresco dei Canti è esplosiva, nell'ultimo libro diventa quasi filosofica (mistica, quel fatto del greco secondo me è vero!), per poi tornare mischiata a tutte le altre scritture che nei Canti del Caos si alternano.