Oscar Wilde diceva che non ci sono libri morali o immorali, ma soltanto libri scritti bene o scritti male. Estenderei il discorso a ogni tipologia di creazione artistica, adeguandolo a categorie dei nostri tempi: non ci sono prodotti alti o bassi, ma soltanto opere curate o dozzinali.
Manga e anime sono dimostrazione dell’aforisma di Wilde: strutturandosi in generi e sottogeneri piuttosto rigidi e codificati (shōnen, shōjo, seinen, josei, kodomo, per elencare i principali), ognuno con un proprio target, molto del risultato finale si deve all’estro dell’autore, che si barcamena tra le proprie esigenze creative e le aspettative degli utenti, con il rischio costante di scivolare nell’ovvio e nel biecamente commerciale.
Mi sono approcciata a Prison School dopo aver letto che il manga ha vinto nel 2013 il Kodansha, uno dei più prestigiosi premi fumettistici giapponesi, nella categoria “generale”; fin qui, niente di che, se non fosse che Prison School è un ecchi, ovvero un genere che si situa appena mezzo gradino sopra il porno. Per chiarire il concetto, è come se un qualcosa del genere Cinquanta sfumature vincesse il Pulitzer; pertanto ho subito cercato l’anime (che sapevo essere fedelissimo alla fonte cartacea) per vedere com’è fatto un pecoreccio intelligente.
In Prison School tette e culi abbondano come da ecchi classico, ma a essi si aggiunge un plot serrato e divertente: si potrebbe dire che l’eccesso di erotismo caratteristico del genere si sposi perfettamente con l’eccesso della storia, creando un clima idilliaco di perversione, sensualità e violenza.
Tutto partecipa alla compattezza del risultato finale: che si tratti dei super-seni di Meiko, del parlare arcaizzante di Gakuto (il personaggio migliore della serie), della brutalità di Hana, del masochismo di André, tutto ruota attorno ai tentativi di evasione/sopravvivenza dei cinque disgraziati (e depravati) protagonisti, condannati alla “prigione scolastica” per aver spiato nei bagni femminili.
Ogni scena spinta, ogni ombra che va a finire proprio lì, ogni goccia di sudore che scivola nell’incavo tra i seni di chicchessia, esattamente come ogni calcio e frustata, si rivelano ingredienti essenziali per lo sviluppo dell’azione e per l’evoluzione dei personaggi, tutti ottimamente caratterizzati (anche dal punto di vista grafico), non mancanti di sfumature, simpatici oltre che lascivi.
Lo staff di Prison School è riuscito a offrire al pubblico un anime d’intrattenimento completo, senza limitarsi alla soddisfazione degli appetiti più bassi dell’utente medio di ecchi (che comunque ha molto su cui meditare), e, soprattutto, senza trattarlo da stupido; il risultato finale è un’opera strabordante e scatenata, divertente, capace di soddisfare palati anche diversi.
Prison School (2015)
Regia: Tsutomu Mizushima
Tratto dal manga omonimo di Akira Hiramoto
Distributore it: Dynit
Numero episodi: 12
Rete it: VVVID (in lingua originale e doppiato)