Pinter

Quando Marcel, ne Il tempo ritrovato, dice che ora è in grado di iniziare il suo lavoro, lo ha già scritto. Noi abbiamo appena finito di leggerlo. In qualche maniera questa idea fondamentale doveva essere ritrovata in un’altra forma. Sapevamo che non avremmo potuto competere col libro. Ma avremmo potuto essergli fedeli?

L’adattamento di Harold Pinter, pubblicato in Italia con il titolo Proust. Una sceneggiatura, sarebbe dovuto diventare la quarta collaborazione tra l’autore e il regista Joseph Losey, dopo Il servo, L’incidente e Messaggero d’amore. Purtroppo, però, i soldi per realizzare il film non sono mai stati trovati e a chi, come me, idolatra i capolavori del regista americano e del drammaturgo inglese, questa sceneggiatura appare come la rovina di un monumento mai costruito.

Pinter si pone in maniera complementare all’opera di Proust: se la scrittura di quest’ultimo è un riesame di un qualcosa che è al contempo perduto e reso eterno dall’elaborazione artistica, la sceneggiatura pinteriana è il prendere fiato prima di attaccare a scrivere, il ricapitolare il materiale raccolto durante una vita, e scegliere le cose da raccontare prima di metterle su carta.

Questo approccio genera l’andamento episodico e frammentario che scandisce il progetto, portato avanti per associazioni emotive e mentali, in cui i tempi narrativi si mescolano, si spiegano l’uno attraverso l’altro, in un percorso che si appresta a diventare lineare e compiuto, ma che ancora non lo è.

Il drammaturgo, che descrive l’anno di lavoro su Alla ricerca del tempo perduto come il migliore della sua vita, s’infila con intelligenza nel materiale che rielabora, e trasforma la sua sceneggiatura in una Recherche al quadrato, portando agli estremi il “gioco” narrativo di Proust: se l’opera dello scrittore francese è una “riduzione” artistica di un vissuto, quella di Harold Pinter è la riduzione di una riduzione, frutto di un doppio intervento autoriale e percettivo, quello di Pinter che rielabora Marcel che rielabora la sua vita.

Al contributo pinteriano andrebbe anche aggiunto, seppure solo in via immaginaria, quello di Joseph Losey, perché è facile presumere che il regista sarebbe intervenuto con energia nel materiale di base, soprattutto considerando che più volte ha affrontato l’ambiguità dei rapporti umani, le buone maniere come modalità di sopraffazione e la circolarità del tempo, indipendentemente dalle sue collaborazioni con Pinter; così il gioco a scatole cinesi sul tema della rielaborazione creativa del reale avrebbe raggiunto il sublime.

Harold Pinter
Proust. Una sceneggiatura (2000)
Trad. it Elio Nissim, Maria Teresa Petruzzi
Torino, Einaudi, 2005
pp. 188