[bang!]

 

Appunto. Se fossimo come piante, tenteremmo l’estensione verso il cielo. Sarebbe, quindi, caduta e scalata e viceversa. Resta che se fossimo piante, saremmo piante e basta. Ma siamo uomini farciti di pensieri.
Da quando ho letto in Lettere a nessuno di A. Moresco che il carattere dell’opera che si scolpisce nello spaziotempo è la verticalità, ci sono momenti in cui non riesco a pensare a nient’altro. E non ho potuto fare a meno di cercarmi un paragone fuori dall’uomo, una metafora di alleggerimento. E ho fatto del paragone pianta-uomo un’identità (se ci penso, sento i cavalli-motore della scienza rincorrermi, ma è solo suggestione). Identità, quindi fondamento, ma per ottenerlo bisogna sostituire all’estensione della piante l’erezione dell’uomo, la sua verticalità evoluzionistica, che lo fa tendere verso la luce (come le piante). È ciò che sta in alto il punto (o i punti) verso il quale ci siamo alzati, ci alziamo ancora, il piano da cui lanciarsi, precipitarsi. La caduta impone di spingersi sempre più verso il pericolo. Ma è in fondo la caduta vera e propria ciò che conta – voglio dire, in litteris, arrivare a dire fino a sciogliere la trama – o il brivido, che contiene l’attesa della caduta, il moto ascensionale che anticipa e lascia presentire la gravità e lo schianto?