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I giornali descrivono LPL come un’associazione terroristica. Niente di più lontano dalla verità. LPL è un movimento di liberazione privo di qualsiasi finalità eversiva. Nessuno dei suoi membri vuole portare un attacco al cuore dello Stato, né si sogna di prendere il potere con un golpe. Quelli che vengono disegnati come attentati in realtà sono momenti culminanti di un cammino di liberazione personale. Nel limite del possibile, i lavoratori non convenzionali non fanno male a nessuno. Spesso anzi rappresentano una risorsa indispensabile per mantenere elevati ritmi di produzione.

Robledo non è un romanzo perfetto (soffre di una conclusione che sembra calata dall’alto e di un protagonista troppo volatile per suscitare una profonda empatia), ma è uno di quei libri per cui si fa un tifo sfegatato perché trasmette al lettore energia e disperazione, e sviscera con partecipazione e una certa crudeltà la crisi culturale ed esistenziale ancor prima che economica che stiamo vivendo.

La missione portata avanti dai vari ghost worker/lavoratori non convenzionali (persone che lavorano clandestinamente e senza percepire stipendio, per poi suicidarsi una volta esauriti i loro risparmi) raccontati dal romanzo, riunitisi nell’LPL (lavoro per il lavoro), si basa su una profonda accettazione delle regole del sistema, su una religiosa e assoluta introiezione e sul superamento di sé e della comunità: il lavoro, da base costitutiva della propria identità, diventa il mezzo privilegiato per l’annientamento della stessa, oggetto di devozione, esercizio di autodisciplina al fine di liberarsi di se stessi, mezzo per riconoscere la propria ininfluenza all’interno della società e per partecipare alla sua distruzione dall’interno.Invisibili, indagati (o forse addirittura creati) dal giornalista Michele Robledo in un reportage che assume il sapore di un manifesto filosofico e politico, i ghost workers si aggrappano alla routine e si autodistruggono perché è il sistema stesso che non è più in grado di stare in piedi.

Dimenticatemi ogni volta che potete.

Il ripiegamento del mondo si sviluppa causa precarietà diffusa, che da economica e lavorativa diventa (o si conferma) anche emotiva, mentale, esistenziale; e allora Zito non si limita a parlare di una crisi contemporanea, ma affronta quei temi eterni (la ricerca di un senso delle cose, della vita, dell’amore) che mai troveranno una soluzione univoca, e che si scontrano con l’esigenza di stabilità e di radici dell’essere umano. Al lettore viene il sospetto che la precarietà sarebbe anche un qualcosa di sopportabile, se non fosse accompagnata da un’instabilità generalizzata che non concede momenti di riflessione, né possibilità di costruire sia un sistema di vita sia una qualche forma di autocoscienza.

Robledo funziona perché riesce a parlare delle nostre esigenze più intime costruendo un contesto ben preciso e riconoscibile (per quanto portato all’estremo) e inserendoci delle persone vere, a tratti complesse, comunque spaesate. Daniele Zito racconta la sua distopia senza spingere sul pedale dell’affresco generazionale o su quello del romanzo sociale, ma mantenendo un contatto compassionevole e attento con persone che non hanno più niente da perdere e la loro identità da offrire. Emergono un’attenzione e una cura talmente cariche di affetto e pìetas da rasentare la grandezza.

Non voglio che mi comprendiate, non voglio che mi giustifichiate, non voglio che accettiate ciò che per voi è inaccettabile, voglio solo che sappiate quanto vi amo.

Daniele Zito
Robledo
Roma, Fazi, 2017
pp. 267