Che cos’è Diorama, esordio di Marco Magurno (Il Saggiatore, 2016)? Come nella funzione d’onda, il libro è solo una delle varie forme che il Diorama può assumere – probabilmente nemmeno la più consona alla sua natura. Eppure il libro Diorama si lascia divorare per intero in due ore, la prima volta.
Il trionfo dell’immagine
Come in Etere divino (Genna-Gentile, Il Saggiatore, 2015[1]) l’elemento narrativo in Diorama è deposto in favore di qualcos’altro. Il primo indizio è in apertura del libro e sembra indicare un percorso dialettico. Dice:
diorama
/dio·rà·ma/ sostantivo maschileUn diorama (anche detto: plastico) è un’ambientazione in scala ridotta che ricrea scene di vario genere o una vetrina dietro cui è rappresentata la ricostruzione di una scena naturale. · Nel caso del presente oggetto letterario (che è un oggetto letterario del presente), un diorama è l’ambiente in qualunque scala di grandezza in cui sono senza fine prodotte scene di qualsivoglia genere appartenenti a ogni universo vivente. (p.8)
Da dove viene lo scarto tra il diorama tradizionale e quello allestito da Magurno? Due fattori si fanno subito avanti: il concetto di contemporaneo e quello dell’accelerazione tecnologica. Li analizzeremo entrambi, più avanti; prima, però, un assaggio dell’opera.
“Questo è il Supermondo”, dice Magurno. “Immagini larvali assolute del mondo accelerato che viviamo nell’epoca del post-spettacolare. Esso è l’Iperuranio. Qualunque immagine che prima faceva parte dello Spettacolo è il Supermondo.” (p.46)
C’è dunque un percorso che, per via dell’emergenza dello spazio digitale della rete[2], porta dalla società dello spettacolo di McLuhan e Debord a uno sfondamento dell’immaginario – sfondamento che abolisce il tempo, che rende irrilevante la distinzione fondamentale tra organico e inorganico in favore di forze automatiche, ubiquitarie. È il trionfo dell’immagine che, stanca di essere vista, vuole cominciare a vedere.
Meme e Diorama
Cosa lega “i testi e le immagini pervenuti attraverso il flusso dioramatico del Supermondo” e i meme? Innanzitutto il luogo in cui proliferano: lo spazio-calderone della rete.
Questo è un meme post-ironico, il famoso Long Boy di Special Meme Fresh
Questa è un’immagine da Diorama
Un articolo recente, apparso su Prismo, analizza in modo esaustivo la fenemenologia del meme, da 4Chan al weird facebook. Il meme, si dice per prima cosa, obbedisce a una logica evolutiva. Inoltre, fattori analitici quali gli strati d’ironia e la relazione narratologica tra un meme specifico e la sua forma archetipica hanno un ruolo fondamentale nel ciclo vitale di un meme; questi fattori invece sono, se non irrilevanti, secondari in Diorama di Magurno.
Ancora: la natura intima del meme è il riuso, la variante, la mutazione – in caso di abuso, di sfinimento dell’energia riproduttiva dell’immagine, il meme in questione va incontro alla morte o al ban. In altre parole, un libro di meme sarebbe una contraddizione in termini – non così per Diorama di Magurno. Non così, perché dietro Diorama c’è una posizione filosofica forte, precisa, che si esplicita nella figura del contemporaneo.
In apertura, Magurno cita Giorgio Agamben:
“La contemporaneità è, cioè, una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze; più precisamente, essa è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo.” (p.10)
Più avanti, l’autore si riferisce a Una discesa nel Maelström di E.A. Poe. Inghiottito nel vortice, a un passo dalla morte, il marinaio di Poe comincia a osservare “con curioso interesse” le tante cose che gli fluttuano intorno. Riesce a salvarsi: la sua salvezza, nota Magurno, nasce da un distacco; “distacco che è, al contempo, intima partecipazione” (p.13).
La figura del contemporaneo è la base, l’intenzione del libro Diorama; la sua prospettiva è invece l’accelerazione tecnologica.
Gli algoritmi del Supermondo
Nel libro di Raymond Kurzweil The Singularity Is Near (Penguin Books, 2006) c’è una figura di grande impatto simbolico: il ginocchio o gomito della curva. È il momento in cui si manifesta la differenza tra la crescita lineare della tecnologia (la dimensione entro la quale, secondo Kurzweil, scienziati e osservatori competenti hanno sempre ritenuto, errando, di trovarsi) e la crescita esponenziale della tecnologia: un’esplosione e un punto di non-ritorno; il momento, in termini tanto teorici come profetici, in cui la tecnologia, nella forma dell’intelligenza artificiale, supera la biologia – non per cancellarla quanto per integrarla. Non sta a me discutere la validità di quest’ipotesi: mi limito a riferire che i calcoli dei tassi di crescita della tecnologia nella storia citati e/o effettuati da Kurzweil nei suoi libri godono di buona reputazione presso altri scienziati meno inclini alla profezia (Roberto Cingolani, ad esempio, nel suo Il mondo è piccolo come un’arancia, ne fa uso); e che, for the record, le figure con cui Kurzweil argomenta la sua ipotesi hanno spesso l’odore del dogma neoliberista[3].
L’accelerazione tecnologica disegna una prospettiva peculiare, una in cui le forze in gioco non sono più umane: sono post-umane o senza-io. Uno dei passaggi più intensi del libro riguarda precisamente questa mutazione – mutazione a cui Magurno dà il nome junghiano (e alchemico) di Nigredo. Dice:
Cadere dovrebbe quest’Io nel luogo della putrefazione. Tale è la Nigredo, detta anche Opera al nero: il primo e fondamentale stadio di ogni processo dioramatico. Nella Nigredo la materia si dissolve avviando, al contempo, il processo della morte dell’Io, ovvero di tutti i desideri personali: è il disfacimento.
Nella Nigredo ogni elemento materiale e psichico viene gettato in un luogo di putrefazione, per tornare parte di un Tutto nero, freddo, indiviso. (p.191)
Paradossalmente – o no – l’accelerazione tecnologica, disfacendo l’io dell’uomo, genera una spinta mistica. Questa spinta non può vietarsi di generare a sua volta una fuga della simbologia sessuale. Il consumo pornografico si concentra, nel Diorama, su oggetti inorganici: “una sessualità non più umana, emblema della transumanza della specie nel futuro”. (p.291)
Cos’è allora questo libro? Un oggetto letterario sorprendente – ibrido, originalissimo e quasi anonimo, complesso eppure come volatile – dove distacco e sospensione (epoché) convivono con uno sclero associativo sfrenato. Un libro, come ha scritto Luca Romano, monadologico: il Diorama contiene ogni cosa e ogni cosa lo contiene.
Scrive Magurno in chiusa:
È questo il tempo in cui ciò che era analogico viene abolito e tutto è contemporaneo a se stesso.
Se prima il Diorama era fatto della stessa sostanza dei sogni, è ora della stessa sostanza dei sognatori.
Ci sogna, ne siamo sognati. (p.341)
È una posizione forte, definitiva, quella di Magurno: Diorama – il trionfo dell’immagine automatica, ubiquitaria, indecifrabile, senza-io – si muove in direzione della “chiusura della rappresentazione” (v. nota 2), della fine della metafisica. È una posizione giustificata? Accadrà il Diorama, sta già accadendo? L’analogico Derrida, ad esempio, pensa di no: nella chiusa di “Il teatro della crudeltà e la chiusura della rappresentazione” dice
È fatale che, nella sua chiusura, la rappresentazione continui
Questo carattere profetico, di fatto, è lo spirito stesso del libro, la sua spinta generativa, la sua ragione d’essere – il nodo non riguarda dunque l’esattezza della risposta, ma la capacità di penetrazione della domanda: sta mutando l’orizzonte della commedia umana? Ed è vero il teorema della fuga simbolica (ogni sconfinamento nell’orizzonte della tecnica produce una dilatazione dei limiti pensati del mondo)? E fin dove si sposteranno questi limiti? Diorama è un libro che interroga.
[1] Siamo, probabilmente, in presenza di un progetto di “libro unico”. Una rarità nel nostro panorama editoriale.
[2] Non va sottovalutato, in termini filosofici, lo scarto tra analogico e digitale: qualcosa nella natura della rappresentazione (sarebbe a dire nella storia della metafisica, seppure la metafisica ha una storia, cfr. “Il teatro della crudeltà e la chiusura della rappresentazione”, in La scrittura e la differenza, J. Derrida, Einaudi, 1971) salta. La storia della metafisica, invece, è prima di tutto un equivoco: è, principalmente, un libro della biblioteca di Aristotele, quello sulla filosofia prima, ritrovato, disseppellito in una cantina della città di Scepsi appena oltre (meta-) quello sulla fisica (cfr. La biblioteca scomparsa di L. Canfora, Sellerio, 1986.)
[3] Un odore, come dire, tra bullshit e self-fulfilling prophecy.