Edipo non ha bisogno di presentazioni ulteriori, solo spero che voi, lettori e lettrici, non pensiate subito all’interpretazione freudiana del mito. Godete piuttosto della profondità tragica, e ironica, di questa poesia!
Coro: Ah, generazioni di mortali,
la vostra vita e il nulla
in pari conto tengo!
Quale, quale uomo
attinge felicità più salda
di un’illusione che balugina
a rapida declina?
Se il tuo destino,
o sventurato Edipo,
se il tuo destino a paradigma prendo
nessun mortale dirò felice:
lui che il dardo scagliò
con mira eccelsa
e vinse il premio
di perfetta fortuna
sopprimendo, o Zeus,
la vergine profetessa dall’unghia uncinata
e alla mia terra si erse
baluardo contro la morte.
Da quel giorno “mio re”
sei chiamato e onori supremi cogliesti
regnando su Tebe potente.
E adesso chi più infelice di te?
Chi più di te prigioniero
di pene, di spasimi ciechi
nel rovescio della tua vita?
Ah, nobile Edipo a noi caro,
a cui bastò
un solo immane porto
dove approdasti quale figlio
e quale padre e quale sposo
come mai, come mai
ti hanno potuto tollerare in silenzio
per anni, o infelice,
i solchi seminati da tuo padre?
Ma il tempo che tutto vede
ti ha scoperto tuo malgrado
e condanna le nozze assurde
dove si confusero a lungo
colui che genera e colui che è generato.
Ah, figlio di Laio!
Se non ti avessi mai visto!
Io ti compiango e singhiozzi
senza fine escono dalla mia bocca.
Posso ben dire
che per te un giorno rinacqui
e per te ora chiudo gli occhi per sempre.
Bellissimo! Grazie Quijano!