Devo riconoscere a Roberto Bolaño (col permesso ovviamente del suo mitico agente Andrew Wylie, noto nel submondo culturale come The Shark) una cosa. Una cosa personale, dico, una scoperta o ritrovamento recente del quale mi trovo or ora a fruire.
C’era infatti, nel mio modo di costruire il discorso, un duplice livello.
Il primo: piano, enunciativo, falsamente neutro – una falsità volontaria, una marginale e funzionale debolezza dello stesso, volta a dare passo al secondo livello.
Il secondo: l’inciso nicciano, aforistico, che apre e smembra il primo livello.
Da qualche tempo, ce n’è un altro, un terzo: la parentesi bolagnesca, la cui più intima funzione, scopro, è il ridicolo (non tanto rispetto al primo, quanto al secondo, pomposo livello).
Il grottesco, dunque, non è più solo, filosoficamente, l’apertura all’impossibilità della conclusione – “solo ciò che non ha storia si può definire” – ma la sua derisione (la derisione della conclusione, dello scioglimento, quel vecchio totem arrugginito, Zio Calcare).